Oscar Kokoshka nasce a Pöchlarn il 1º marzo del 1886, era un pittore e drammaturgo austriaco. Per problemi finanziari si trasferisce con la famiglia a Vienna, dove, grazie ad una borsa di studio ha potuto frequentare nel 1905 la Scuola di arti applicate, la stessa frequentata da Klimt.
Qui si avvicina soprattutto all’arte primitiva, sia africana che dell’estremo oriente occupandosi in particolare delle arti decorative giapponesi. Collabora con la Wiener Werksatte (comunità di produzione viennese legata al mondo del design, fondata nel 1903 dagli architetti Hoffmann, Moser e Warndorfer) disegnando cartoline, illustrazioni e copertine di libri. Si arruola come volontario e nel 1915 e viene gravemente ferito, dopo una lunga convalescenza, due anni dopo, si trasferisce a Dresda dove ottiene una cattedra all’Accademia della città, qui, dipinge un gran numero di quadri e acquerelli.
Nel 1938 è stato accusato dal regime hitleriano di essere un “artista degenerato” e, costretto a fuggire, trova rifugio a Londra. In seguito, rinnegata la cittadinanza austriaca e ottenuta quella britannica, per redimersi dai genocidi della Seconda guerra mondiale, si stabilisce definitivamente a Villenueve, dove muore nel 1980.
Kokoschka aveva degli importanti sostenitori, uno tra questi era Gustav Klimt, al quale dedica le sue prime incisioni. Grazie a lui riesce a mettersi in contatto con gli impressionisti tedeschi. Il termine espressionismo significa letteralmente “spingere fuori”. Mentre con l’impressionismo si interiorizzava un sentimento provocato dall’esterno e quindi dalla natura, con l’espressionismo si tende a rappresentare un sentimento interiore che viene esternato attraverso la pittura. Questa corrente artistica nasce tra il 1905 e il 1925 in Europa ma si divide in due gruppi ben distinti: i Fauves in Francia e i Die Bruke in Germania, dove la situazione era abbastanza particolare: la Rivoluzione arriva molto più lentamente rispetto agli altri paesi europei, trovandosi in uno stato di arretratezza.
Die Bruke, ovvero “il ponte” nasce dall’esigenza di un gruppo di artisti di slegarsi e interrompere completamente qualsiasi rapporto accademico, come ponte tra vecchio e nuovo: contrapponendo all’Ottocento realiste e impressionista al Novecento espressionista, violento e antinaturalistico.
Kokoshka, si mostra fin da subito in maniera distinta rispetto agli altri artisti espressionisti: da Klimt riprende l’importanza del disegno, nei ritratti percorre attraverso le pennellate l’indagine psicoanalitica dei soggetti, mostra ancora nelle pennellate ricordi impressionisti. Per Kokoshka il problema della società nasce col rapporto originario uomo-donna, ne “La sposa del vento” del 1914 rappresenta la fine del travolgente rapporto d’amore che lo aveva legato ad Alma Mahler. I due si erano conosciuti nel 1912. Kokoshka aveva infatti stretto un intenso legame passionale con la vedova che aveva qualche anno di più dell’artista ma subiva anche lei il fascino del giovane impulsivo e anticonformista. Presto però il loro legame si deteriorò a causa del carattere possessivo e geloso di Kokoshka.
Il quadro è un’autorappresentazione dell’artista stesso, adagiato in letto formato da nubi scomposte con la sua amata, appoggiata e assopita sul suo petto. Il vento citato nel titolo è personificato in Kokoshka, che travolto dai sentimenti rende lo scenario deformato e quasi tempestoso. Le due figure sembrano essere contenute all’interno di due circonferenze in corrispondenza del busto e delle gambe, avvolte da importanti pennellate. A unire i due corpi si può osservare un telo che li avvolge dal bacino fino al ginocchio, che sembra essere mosso dall’aria. Mentre il sonno della donna è spensierato, lo sguardo dell’artista è limpido e profondo, pensieroso fissa il vuoto con le mani incrociate.
Possiamo ritrovare similitudini in “Abbraccio” di Shiele, austriaco, come Kokoshka anche lui fa riferimento a Klimt, ma liberandosi di sfarzi per dar spazio ai più puri sentimenti, mettendosi a nudo di fronte all’amore e rendendo cupa l’atmosfera, immortalando l’aspetto più doloroso e disperato di questo sentimento. Al contrapporre delle morbide pennellate de “La sposa nel vento” ci ritroviamo ad osservare un letto coperto da un telo spigoloso dove due amanti si stringono nudi in un abbraccio.
Elisabetta Valente