Venire alla luce: l’esperienza architettonica

Ogni anno la rivista di architettura e design Domus sceglie un guest editor, ovvero un architetto di fama internazionale che possa proporre delle prospettive per l’anno in corso. Per il 2021, la redazione di Domus ha scelto Tadao Ando, architetto giapponese, fra i più noti sulla scena internazionale contemporanea.

Nel suo primo editoriale di gennaio, Ando ha posto in risalto il tema centrale su cui svilupperà le future riflessioni: la luce. Secondo Ando la luce è l’archetipo dell’architettura stessa. Potremmo affermare che è la luce ciò che differenzia l’architettura dal semplice costruire. Se ragioniamo, infatti, sulla luce e sul suo rapporto con l’architettura, possiamo rintracciare benissimo questa analogia fra la disposizione della luce e le forme architettoniche.

Quando Ando parla dell’architettura la esprime esattamente come il modo dell’essere umano per regolare, incanalare, dare in qualche modo forma alla luce stessa. Questo significa pensare alla luce come qualcosa di plasmabile, come forma plastica, anzi potremmo dire che è la luce stessa a dare plasticità ai volumi, qualsiasi essi siano: dalla scultura all’architettura, passando per le arti figurative.

In altre parole, la luce non è solo ciò che illumina, ma ciò che da plasticità alla materia, ciò che la fa passare dall’inerzia del materiale ad una dimensione più esistenziale, fino a giungere ad una dimensione dell’estrema plasticità espressiva della luce: la dimensione spirituale.

Interessante notare come i due esempi che Ando richiama alla memoria, nel suo editoriale, sono proprio il Pantheon di Roma e l’abbazia di Senanque in Provenza. Si tratta di due luoghi, come ce ne sono tanti altri, in cui la vera protagonista dei volumi architettonici è la luce. E tutte le diverse tipologie di architettura, nelle varie culture, riecheggiano questo tema della luce, questo esistere attraverso la luce.

E di qui cerchiamo di rispondere alle domande che il nostro architetto pone alla fine del suo editoriale: cosa cercano di esprimere i creatori del nostro tempo attraverso la luce? Quali sono le loro aspettative? Le risposte possono essere molteplici.

Ando sottolinea come la tecnica e la tecnologia stia generando sempre più nuove e interessanti possibilità di conquista della luce, che portano a chiedersi il modo con cui l’umanità stessa si stia mettendo dinanzi alla luce e alla tridimensionalità della realtà. Per avere una semplice guida nella nostra conquista della luce, ci basta ritornare alle conquiste dell’architettura stessa. Adolf Loos scriveva che l’architettura inizia nel momento in cui un uomo, trovandosi in un bosco, si ferma dinanzi a tre sassolini messi l’uno sopra l’altro e lì comprende di trovarsi dinanzi ad un tumulo. L’architettura inizia in quel preciso momento poiché l’essere umano recepisce, attraverso la disposizione di elementi materiali, una realtà esistenziale come quella della morte.

L’architettura, dunque, è esperienza simbolica di un segno che rimanda ad un concetto, ad un’idea che tenta di esprimere. Ando, invece, sembra rimandarci ancora più indietro nel tempo, in un passaggio ancestrale dalla caverna all’abitazione. Dove la caverna è il simbolo di un riparo naturale mentre l’abitazione di un riparo culturale, dove l’essere umano si riscopre in grado di plasmare i volumi, di spingere la luce e l’ombra, il caldo e il fresco, verso una direzione piuttosto che verso un’altra.

Architettura, dunque, è il momento in cui l’essere umano esce dalla caverna, da quell’antro oscuro che ci appartiene ancora oggi e che la psicologia chiamerebbe inconscio. Quel momento in cui, appunto, ognuno di noi “viene alla luce”.

Matteo Losapio