#Viaggioconlarte: Sacrificio e Rivoluzione

Jacques-Louis David è stato un pittore e politico francese. Nato a Parigi nel 1748, compì i suoi studi all’Accademia di Belle Arti partecipando più volte al concorso per il premio di pittura, il Prix de Rome, che dava ai vincitori la possibilità di vivere per un lungo periodo a Roma, dove potevano entrare a contatto con le antichità.

David soggiornò a Roma una prima volta dal 1775 al 1780, come pensionnaire ovvero come borsista all’Accademia di Francia a Roma, ed una seconda dal 1784 al 1785: qui riconobbe la maestosità dell’antico, che lo mette completamente a nudo, spogliato dall’istruzione artistica che aveva ricevuto fino a quel momento. Questo gli ha permesso di osservare il Neoclassicismo predicato da Winckelmann, prendendo come modello di riferimento la pittura di Raffaello.

Rientrato in Francia ebbe numerosi incarichi, partecipò alla rivoluzione del 1789, fu deputato e poi presidente della Convenzione Nazionale dei giacobini. Prima sostenitore di Robespierre e poi successivamente ammaliato dal fascino napoleonico, nel 1804 venne nominato primo Pittore dell’Imperatore, così dopo la caduta di Napoleone, nel 1816 l’artista venne esiliato a Bruxelles, dove morì nel 1825. David nel 1792 viene eletto deputato di Parigi alla Convenzione nazionale, primo organo francese eletto a suffragio universale, dove la sinistra rappresentava la maggioranza, come rappresentante nella sezione del museo, ottenendo l’appoggio di Jean-Paul Marat.

Nel 1793 muore Lepeletier, anche lui membro della Convenzione che votò per la condanna a morte di re Luigi XVI. David venne incaricato di organizzare le cerimonie funebri e successivamente dipinse una tela in suo onore esposta alla Convenzione. Nello stesso anno viene assassinato anche il suo amico Marat, medico e giornalista, fondatore del giornale “L’amico del popolo”. La Convenzione incarica David di dipingere un quadro che rendesse onore a questo eroe, martire della rivoluzione così come aveva fatto con Lepeletier.

In conformità allo stile neoclassico, David sceglie di non rappresentare l’atto violento dell’assassinio, ma il momento successivo, la quiete e la compostezza. La composizione è divisa in due parti determinanti: nella parte inferiore vi è il corpo di Marat, immerso in una vasca e in quella superiore il vuoto e un’oscurità contraddetta solo da una luce diffusa che filtra da destra irradiando il volto di Marat. A differenza degli elementi noti che si trovavano nella sua stanza, viene rappresentata vuota.  Si sostiene infatti che sulla parete erano presenti: la tappezzeria, una cartina della Francia e delle pistole appese alla parete, che non vengono riprodotte, per portare l’attenzione dell’osservatore su Marat, che viene rappresentato in una vasca da bagno. Marat soffriva di una particolare malattia alla pelle che lo costringeva a restare molte ore immerso nell’acqua, allo scopo di trovare sollievo dal dolore. Il cesto che fungeva da tavolino viene sostituito da una cassetta di legno dove il pittore ha inciso una breve dedica, trasformandola in una lapide.

L’atmosfera aiuta a dare valore a Marat che si è sempre difeso per i diritti del popolo: femminista, altruista e repubblicano incorruttibile, muore nella povertà circondato dall’essenziale. Il capo è avvolto in un turbante fatto da un telo bianco e si appoggia ad una mensola più alta rispetto alla vasca. Il braccio destro è abbandonato lungo il fianco della vasca e la mano si appoggia per terra mentre ancora regge la piuma d’oca e sulla cassa di legno possiamo ancora vedere il calamaio, come se l’attività della scrittura fosse stata sospesa all’improvviso. Sulla vasca è presente una tavola con una coperta di panno verde, che sorregge l’avambraccio e la mano sinistra che invece contiene la lettera della sua assassina che gli chiedeva udienza scrivendo: “13 luglio 1793. Marie Anne Charlotte Corday al cittadino Marat. Basta che io sia tanto infelice per aver diritto alla vostra benevolenza”.

Charlotte Corday proveniva da una famiglia povera ma di origini nobiliari, a venticinque anni si trova rinchiusa in un’abbazia reale di Caen che accoglieva ragazze povere uscite dalla nobiltà, ma con l’avvento della rivoluzione Charlotte fu costretta ad abbandonare l’abbazia. Le notizie che arrivavano quotidianamente da Parigi la turbavano particolarmente e contribuivano a far crescere in lei il disprezzo per le fazioni più estremiste della Convenzione nazionale. Questi orrori erano collegati in qualche modo al giornalista Marat che con le pubblicazioni della sua rivista li definiva “misure necessarie al bene della Nazione”.  A terra, a sinistra accanto alla mano decadente si trova l’arma del delitto usata da Charlotte, un coltello.

La composizione verte a una passione che può essere comparabile alla Pietà di Michelangelo o alla Deposizione di Cristo di Caravaggio. La ferita aperta sul costato gronda ancora di sangue e la testa è riversa sulla spalla destra. Del lavoro preparatorio al dipinto c’è rimasto lo studio su una maschera mortuaria di Marat. Nel corso dei secoli molti degli artisti più famosi si sono ispirati a questo quadro, come Paul Baudry, Edvard Munch e Pablo Picasso, realizzando delle versioni proprie. Tutto nel dipinto è essenziale e trasmette valori come l’eroismo, il coraggio, ma soprattutto traspare l’importanza delle idee rivoluzionare e il senso del sacrificio.

Elisabetta Valente

Paul-Jacques-Aimé Baudry, Charlotte Corday, L’Assassinat de Marat, 1860, Nantes, musée d’Arts de Nantes

Jean-Joseph Weerts, L’Assassinat de Marat, 1880, Musée “la piscine”, de Roubaix